Nella determinazione dell'assegno divorzile deve tenersi conto del tenore di vita dei coniugi dall'ammontare complessivo dei loro redditi e della loro disponibilità economica

L'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto: a tal fine, il tenore di vita precedente deve desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali. E' quanto pronunciato dalla Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, con sentenza del 28 febbraio 2007, n. 4764. La S.C. ha confermato la decisione della corte d'appello che aveva desunto il tenore di vita dei coniugi dall'ammontare complessivo dei loro redditi e della loro disponibilità economica e la mancanza di "mezzi adeguati" della moglie dal forte squilibrio tra la situazione economica di questa e del marito, proprietario di un cospicuo patrimonio immobiliare, e dall'esigenza della donna di pagare il canone di locazione dell'immobile ove si era trasferita coi figli, dopo aver tentato di stabilirsi con essi in un piano della casa coniugale, per evitare loro negative tensioni col padre).



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI - Presidente

Dott. Massimo BONOMO - Consigliere

Dott. Paolo GIULIANI - Consigliere

Dott. Luciano PANZANI - Consigliere

Dott. Maria Rosaria SAN GIORGIO - Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Mu.Re., elettivamente domiciliato in Ro. Via Sa. n. (...), presso l'avvocato Pa.Pr., che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Cr.Vi., giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

Ca.De., elettivamente domiciliata in Ro. Via No.Si.Di.Lo. n. (...), presso l'avvocato Ca.Ni.Ch., rappresentata e difesa dall'avvocato Ma.Ma., giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 405/03 della Corte d'Appello di Ancona, depositata il 31/05/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2006 dal Consigliere Dott. Maria Rosaria SAN GIORGIO;

udito per il resistente l'Avvocato Ch., con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario Giovanni RUSSO che ha concluso per il rinvio per integrazione del contraddittorio nei confronti del Proc. Generale della Repubblica distrettuale o, in subordine nell'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. - Con ricorso depositato il 21 maggio 1999, Re.Mu. chiese al Tribunale di Fermo di pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto il 29 settembre 1995 con De.Ca., dal quale erano nati due figli, entrambi ancora minorenni. Il Tribunale adito, con sentenza parziale del 30 aprile 2002, pronunciò il divorzio e rigettò la domanda di corresponsione dell'assegno divorzile avanzata dalla Ca. per essere la stessa economicamente autonoma in quanto dipendente dell'INPS, con un reddito annuo netto di lire 30.000.000.

2. - Avverso la sentenza propose appello la Ca, lamentando che il Tribunale non aveva preso in considerazione la circostanza che il Mu. era proprietario o comproprietario di un consistente patrimonio immobiliare la cui quota di pertinenza aveva un valore non inferiore ai tre miliardi di lire, e che inoltre si occupava dell'azienda agricola di famiglia, della estensione di 60 ettari: sicché i coniugi avevano sicuramente goduto di un tenore di vita superiore a quello assicurato all'appellante dal suo solo reddito. La Ca. fece poi presente che le proprie condizioni economiche avevano subito un deterioramento, dovendo ella provvedere al pagamento del canone locativo annuo di euro 4.666,80, per essere stata costretta ad allontanarsi dall'abitazione del coniuge -della quale aveva, dopo la separazione dal marito, per un certo periodo occupato il piano superiore - perché la vicinanza con lui era dannosa per i minori, creando negli stessi disagio e stress. La donna, deducendo di essere inoltre onerata di spese per i figli con lei conviventi, chiese un assegno divorzile nella misura di almeno euro 500,00 mensili.

3. - La Corte di appello di Ancona, in parziale accoglimento dell'appello, dispose che il Mu. versasse alla Ca. un assegno divorzile della misura di euro 200,00 mensili. Rilevò il giudice di seconde cure che la situazione economica del primo - che, comunque, si era detto onerato, senza che il dato venisse contestato da controparte, di un assegno mensile a favore dei figli di lire 1.000.000 - era notevolmente migliore rispetto a quella della moglie, in quanto al reddito netto di L. 3.000.000 mensili si aggiungeva quello derivante dall'ingente patrimonio immobiliare, calcolato dal perito di parte in lire 5.400.000 nette all'anno; e che la proprietà di beni immobili di ingente valore, anche se di scarsa redditività, era comunque tale da consentirgli di mantenere un più elevato tenore di vita per non avere egli una particolare esigenza di realizzare risparmi, tenuto conto della possibilità di alienare gli immobili in caso di necessità. Rilevò inoltre la Corte che la Ca., titolare di un reddito netto di circa L. 2.400.000 mensili, secondo la dichiarazione dei redditi relativa al 1999, l'unica prodotta dall'appellante, era gravata dell'onere locatizio, pari ad euro 388,00 mensili. Ritenne pertanto la Corte superflua la indagine richiesta dalle parti in ordine al tenore di vita delle stesse preesistente al divorzio.

4. - Per la cassazione distale sentenza ricorre il Mu. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la Ca., che ha depositato anche una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. - Deve, preliminarmente, essere disattesa la richiesta, rassegnata dal P.G. di udienza, di rinvio della causa per la integrazione del contraddittorio nei confronti del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Ancona. Dall'art. 5, terzo comma, della legge 1 dicembre 1970 n 898, sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, il quale riconosce al pubblico ministero il potere di proporre impugnazione avverso le sentenze di divorzio, limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori od incapaci, si evince che, nelle cause di scioglimento del matrimonio in cui non si controverta in materia di interessi della prole, il pubblico ministero, pur avendo facoltà di intervento, non può spiegare proprie domande, o proporre impugnazione, e, quindi, non assume la veste di parte necessaria. In dette cause, pertanto, deve escludersi, in sede di legittimità, la esigenza di integrare il contraddittorio nei confronti del pubblico ministero presso il giudice a quo, restando, inoltre, nelle predette cause, le facoltà spettanti all'ufficio del pubblico ministero, in qualità di interventore, assicurate dalla partecipazione al procedimento di cassazione del Procuratore generale presso la Suprema Corte (v. Cass., sentenze n. 10803 del 1998; n. 3552 del 1985; n. 3529 del 1977).

2. - Deve, ancora, in via preliminare, dichiararsi la irricevibilità dei documenta prodotti, contestualmente alla memoria integrativa ex art. 378 cod.proc.civ., dalla controricorrente, stante la preclusione di cui all'art. 372 cod.proc.civ., che vieta nel giudizio di legittimità il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del giudizio.

3 - Deve, poi, essere disattesa la eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente in relazione alla pretesa violazione della norma procedimentale di cui all'art. 366, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.

Per soddisfare il requisito dell'esposizione sommaria dei fatti della causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dal citato art. 366, primo comma, n. 3, non è necessario che tale esposizione costituisca una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi di impugnazione, né occorre una narrazione analitica e particolareggiata, essendo, invece, sufficiente, ed insieme indispensabile, che, dal contenuto del ricorso, e segnatamente dallo svolgimento dei motivi del ricorso, escluso l'esame di ogni altro documento, compresa la stessa sentenza impugnata, sia possibile desumere tutti gli elementi affinché il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell'oggetto della controversia, delle vicende del processo e delle posizioni ivi assunte dalle parti, così da cogliere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v., tra le altre, Cass., sentenze n. 11653 del 2006, n. 16360 e n. 1959 del 2004, n. 14728 del 2001).

L'attuale ricorrente, dopo avere nel preambolo del ricorso specificato i fatti che hanno ingenerato la lite, e le varie vicende del processo e delle posizioni dei vari soggetti che vi hanno partecipato, ha, attraverso il tenore dei due motivi di impugnazione, inequivocabilmente chiarito l'oggetto delle censure.

L'eccezione va, pertanto, respinta.

4. - Con il primo motivo di impugnazione, dunque, lamenta il ricorrente omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, con particolare riferimento al mancato accertamento dell'adeguatezza dei mezzi della resistente e del pregresso tenore di vita dei coniugi ed in ordine alla mancata assunzione di prove su circostanze decisive. La Corte territoriale, la quale avrebbe dovuto accertare la situazione economica esistente durante il periodo matrimoniale, e, in relazione a questa, stabilire se il reddito attuale della Ca. fosse adeguato o meno, aveva, invece, solo proceduto al raffronto delle rispettive situazioni economiche dei coniugi, senza alcun riferimento alla situazione preesistente, e senza accedere alle richieste istruttorie dell'appellato, odierno ricorrente, che avrebbero consentito di accertare il miglioramento della situazione reddituale dell'appellante e la idoneità della stessa a consentirle di mantenere il tenore di vita goduto durante il matrimonio. Né si era avveduto il secondo giudice che, ponendo a carico del Mu. l'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile in favore della ex moglie, aveva operato uno sbilanciamento delle rispettive situazioni patrimoniali, tale da modificare la situazione del primo in maniera significativa, lasciando a sua disposizione un reddito residuo del tutto insufficiente a garantirgli una esistenza decorosa.

Infine, la Corte di merito, trascurando completamente le risultanze della disposta c.t.u. in ordine alla valutazione dei rapporti dei coniugi tra loro e con i figli - dalle quali emergeva, secondo il ricorrente, in modo inequivocabile, che nel corso degli anni la moglie aveva compiuto una opera di demolizione della figura paterna agli occhi dei figli -, aveva sottovalutato il rilievo negativo della scelta della Ca. di abbandonare l'alloggio familiare, giustificandolo, ed attribuendovi valore determinante nel raffronto delle rispettive situazioni patrimoniali dei coniugi.

5. - Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, con riferimento ai criteri ed alle condizioni del riconoscimento dell'assegno divorzile. In contrasto con la citata disposizione, la decisione impugnata era stata adottata senza che si fosse proceduto alla indagine circa la inesistenza di adeguati mezzi economici per il mantenimento del tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio, ma solo sulla base del raffronto tra i redditi e le situazioni patrimoniali degli ex coniugi, e senza che si fossero considerati gli altri aspetti rilevanti ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno divorzile, quali la durata del matrimonio, il contributo dato da ciascuno alla creazione del patrimonio e le ragioni della separazione.

6. - I motivi, che, per la loro stretta connessione logico-giuridica, vanno esaminati congiuntamente, non sono meritevoli di accoglimento.

7.1 - È principio di diritto consolidato nella giurisprudenza dì questa Corte quello secondo il quale presupposto per l'attribuzione dell'assegno divorzile è la mancata disponibilità da parte del soggettò istante di adeguati redditi propri, intesi come redditi idonei ad assicurare il tenore dì vita goduto durante il matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto, fissate al momento del divorzio (v., ex plurimis, Cass., sent. n. 6541 del 2002, n. 7541 del 2001).

Ai fini di tale accertamento, nella specie, la Corte d'appello marchigiana ha correttamente desunto il tenore di vita precedente dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali, ed ha quindi, con motivazione non illogica né incongrua, rilevato che il forte squilibrio tra la situazione economica della Ca. e quello del Mu., evidenziato soprattutto dall'ingente valore delle proprietà immobiliari di quest'ultimo, rendeva inevitabile la non titolarità da parte della prima, una volta venuto meno l'apporto delle entrate del marito, di "mezzi adeguati" intesi nel senso sopra precisato, tenuto, altresì, conto del canone locativo di cui la Ca. si era dovuta far carico per la esigenza, sottolineata e condivisa dalla Corte territoriale, di evitare ogni contiguità con il Mu. - nella cui abitazione, dopo la separazione, la donna aveva inizialmente provato a stabilirsi al paino superiore - e, così, di ridurre le occasioni di conflittualità tra i due, che si sarebbero riverberate sull'equilibrio dei figli, alterandolo.

7. 2. - Da tali rilievi discende altresì - come, del resto, non ha mancato di sottolineare la stessa Corte di merito - la superfluità specifica indagini sul tenore di vita degli ex coniugi in costanza di matrimonio. In una siffatta situazione, il secondo giudice non era tenuto - come già chiarito da questa Corte (v. sentenze n. 9876 del 2006, n. 13169 del 2004) alla puntuale considerazione di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati - peraltro ai fini della quantificazione dell'importo spettante all'ex coniuge - dall'art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, potendo considerare prevalente quello basato sulle condizioni economiche delle parti.

8. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, che seguono la soccombenza, e vanno, pertanto, poste a carico del ricorrente, si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 1100,00, di cui euro 1000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed accessori di legge.

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