No al criterio dell'ultima residenza comune dei coniugi per la determinazione del foro del divorzio

L'articolo 4, comma 1°, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (nel testo sostituito dall'articolo 2, comma 3°-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005 n. 35 («Disposizioni urgenti nell'ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale») comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005 n. 80 («Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali»), è incostituzionale limitatamente alle parole «del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza,», per violazione del criterio di ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione. (Corte Costituzionale, Sentenza 23/05/2008, n.169)




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Franco BILE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), promosso con ordinanza del 16 febbraio 2007 dal Tribunale ordinario di Pisa nel procedimento civile vertente tra Tizio e Caia, iscritta al n. 586 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale ordinario di Pisa, nel corso del procedimento promosso con ricorso depositato in data 17 marzo 2007 per la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto tra il ricorrente e la resistente, ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), «nella parte in cui individua come foro dei procedimenti contenziosi, aventi ad oggetto lo scioglimento e/o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi».

Il giudice a quo riferisce che il Presidente del Tribunale di Pisa ha rilevato d'ufficio la incompetenza territoriale di detto Tribunale, la cui competenza per territorio non coincide con il luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi, che è, come risulta dalle allegazioni delle parti, Napoli, mentre il ricorrente risiede attualmente in Misano Adriatico (Rimini) e la resistente, unitamente al figlio minore, in S. Giuliano Terme (Pisa).

Aggiunge il rimettente che le parti hanno insistito per trattare la causa dinanzi al Tribunale di Pisa, e che il ricorrente ha eccepito la illegittimità costituzionale del censurato art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970, per violazione del diritto al giusto processo (art. 111 della Costituzione), del diritto al giudice naturale precostituito per legge (art. 25 della Costituzione), del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione).

Ciò posto, il Tribunale rimettente ritiene la questione di costituzionalità non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Osserva, al riguardo, il giudice a quo che la disposizione denunciata pone un criterio di competenza territoriale inderogabile che, come accade nel caso di specie, può risultare privo di un effettivo collegamento con le parti e con i figli minorenni eventualmente coinvolti nel procedimento, e che, di conseguenza, essa appare del tutto irragionevole, pregiudizievole per l'esercizio del diritto di difesa e suscettibile di creare una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni analoghe, tenuto conto dei diversi criteri di competenza territoriale previsti dal medesimo art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970 (con riferimento ai procedimenti instaurati dai coniugi con domanda congiunta e/o con riferimento ai procedimenti contenziosi tra coniugi che non abbiano mai avuto una residenza comune) e dall’art. 709-ter, primo comma, del codice di procedura civile (con riferimento ad altri procedimenti che coinvolgono i minori).

Né, ad avviso del giudice a quo, stante il chiaro ed inequivoco tenore letterale della disposizione in questione, vi sarebbe spazio per una diversa interpretazione costituzionalmente orientata.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale ordinario di Pisa, investito di un ricorso per la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), «nella parte in cui individua come foro dei procedimenti contenziosi, aventi ad oggetto lo scioglimento e/o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi», per violazione: a) dell’art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo della irragionevolezza della disposizione, la quale pone un criterio di competenza territoriale inderogabile che, come accade nel caso di specie, può risultare privo di un effettivo collegamento con le parti e con i figli minorenni eventualmente coinvolti nel procedimento, sia sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni analoghe, tenuto conto dei diversi criteri di competenza territoriale previsti dal medesimo art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970 (con riferimento ai procedimenti instaurati dai coniugi con domanda congiunta e/o con riferimento ai procedimenti contenziosi tra coniugi che non abbiano mai avuto una residenza comune) e dall'art. 709-ter, primo comma, del codice di procedura civile (con riferimento ad altri procedimenti che coinvolgono i minori); b) dell’art. 24 della Costituzione, per il pregiudizio all’esercizio del diritto di difesa.

2. – La questione sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione è fondata.

2.1. – L’art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80, ha sostituito, a decorrere dal 1° marzo 2006, l’art. 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 già riportato, fissando, tra l’altro, nuove regole per la individuazione del giudice territorialmente competente in ordine ai procedimenti concernenti lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Il richiamato art 4, primo comma, della legge n. 898 del 1970, nella sua formulazione originaria, individuava, quale foro dei procedimenti di cui si tratta, il tribunale del luogo in cui il convenuto aveva la residenza, oppure, nel caso di irreperibilità o di residenza all’estero, quello del luogo di residenza del ricorrente. L’art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), nel sostituire l’intero art. 4 della legge n. 898 del 1970, aveva, poi, introdotto, quale criterio alternativo alla residenza quello del domicilio (del convenuto, come del ricorrente), contemplando, altresì, l’ipotesi di residenza all’estero di entrambi i coniugi e prevedendo, in tal caso, che la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio potesse essere proposta innanzi a qualunque tribunale della Repubblica.

La novella del 2005 ha introdotto un diverso criterio, fissando quale foro competente il «tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi, ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio», e mantenendo, per il resto, gli altri criteri di competenza individuati dal richiamato art. 8 della legge n. 74 del 1987.

I criteri di individuazione di tale competenza per territorio sono inderogabili e successivi, nel senso che non è consentito al ricorrente fare riferimento ad uno di essi se non nell’ipotesi in cui il precedente non ricorra.

Pertanto, perché il ricorrente possa proporre la domanda innanzi al tribunale del luogo in cui il convenuto abbia residenza o domicilio, non è sufficiente che la residenza comune dei coniugi sia venuta meno, ma è necessario che essa non sia mai esistita, non potendosi interpretare l’espressione «in mancanza» come equivalente a quella «qualora sia successivamente venuta meno», sia perché vi osta il dato letterale, che allude, inequivocabilmente, ad una situazione mai realizzatasi, sia perché è pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che i coniugi possano anche non avere mai avuto una residenza comune – e questa è la fattispecie ipotizzata dal legislatore – dal momento che l’art. 144, primo comma, del codice civile, nel prevedere l’obbligo della fissazione della residenza della famiglia, non esclude che, in concreto, i coniugi, per motivi legittimi, possano non procedere a tale fissazione.

Da quanto precede deriva che, qualora i coniugi abbiano avuto, per il passato, una residenza comune, occorre fare capo, ai fini della individuazione del giudice competente sulla domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, al tribunale del luogo ove detta residenza si trovava, e ciò anche nella ipotesi – ricorrente nella specie – che, al momento dell’introduzione del giudizio, nessuna delle parti abbia alcun rapporto con quel luogo.

L’individuazione di tale criterio di competenza è manifestamente irragionevole, non sussistendo alcuna valida giustificazione della adozione dello stesso, ove si consideri che, in tema di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella maggioranza delle ipotesi, la residenza comune è cessata, quanto meno dal momento in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione – giudiziale o consensuale – sono stati autorizzati a vivere separatamente, con la conseguenza che, tenute presenti le condizioni per proporre la successiva domanda di divorzio, non è ravvisabile alcun collegamento fra i coniugi e il tribunale individuato dalla norma.

Seppure è vero che rientra nella discrezionalità del legislatore la determinazione della competenza territoriale, è però necessario che tale discrezionalità sia esercitata nel rispetto del criterio di ragionevolezza che, nella specie, risulta, per quanto esposto, palesemente violato.

Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma denunciata limitatamente alle parole «del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza,».

L’accoglimento della questione in riferimento all’art. 3 della Costituzione comporta l’assorbimento della censura di incostituzionalità proposta con riferimento all’art. 24 della Costituzione.

per questi motivi la Corte Costituzionale

dichiara l’illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), limitatamente alle parole «del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza,».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2008

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