Non basta la temporanea ripresa della convivenza per l'interruzione del periodo di separazione coniugale obbligatoria ai fini della dichiarazione di divorzio

La convivenza ripresa dopo la separazione ed idonea ad interromperla, non deve essere caratterizzata dalla temporaneita', dovendosi ricostituire concretamente il preesistente vincolo coniugale, nella sua essenza materiale e spirituale, di certo non realizzabile se l'altro coniuge si trova in carcere. Nella disciplina della cessazione degli effetti civili del matrimonio, il pregresso stato di separazione tra i coniugi (concretante un vero e proprio requisito dell'azione, Legge n. 898 del 1970, ex articolo 3, comma 2) puo' legittimamente dirsi interrotto nel caso in cui si sia concretamente e durevolmente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell'insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali si' da ridar vita al pregresso vincolo coniugale, e non anche quando il riavvicinamento dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, rivesta caratteri di temporaneita' ed occasionante.

Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 24 dicembre 2014, n. 27386



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore - Presidente

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere

Dott. ACIERNO Maria - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10693-2013 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS);

- intimato -

avverso la sentenza n. 3495/2012 DELLA CORTE D'APPELLO di MILANO del 19.9.2012, depositata il 30/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/10/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

RILEVATO IN FATTO E IN DIRITTO

che e' stata depositata la seguente relazione:

"La Corte d'Appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado che aveva pronunciato lo scioglimento del matrimonio contratto da (OMISSIS) e (OMISSIS), rigettava l'appello promosso dalla (OMISSIS), affermando che:

- Non vi era alcuna prova della dedotta riconciliazione tra le parti e della conseguente insussistente della condizione temporale richiesta dalla Legge n. 898 del 1970, articolo 3dal momento che il (OMISSIS) usava la casa coniugale come alloggio quando usciva dal carcere ove era detenuto; - Doveva confermarsi la statuizione di rigetto della domanda di assegnazione della casa coniugale, non essendovi figli minori o comunque economicamente dipendenti dai genitori;

- Doveva confermarsi il rigetto della domanda di assegno divorzile, dal momento che il (OMISSIS) era privo di redditi e la (OMISSIS) svolgeva attivita' lavorativa;

- Doveva ritenersi inammissibile la domanda promossa dalla resistente per ottenere la restituzione dell'importo di euro 30.000, da lei anticipati per la ristrutturazione della casa coniugale, in quanto non si ravvisava connessione ex articolo 40 cod. proc. civ. con la domanda di divorzio.

Avverso tale provvedimento proponeva ricorso in cassazione la (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi di doglianza:

- Violazione e falsa applicazione (ex articolo 360 c.p.c., n. 3) della Legge n. 898 del 1970, articolo 3 e successive modifiche, per avere la Corte d'Appello statuito lo scioglimento del matrimonio dei coniugi prescindendo dall'effettivo accertamento dei presupposti richiesti dalla legge summenzionata, in particolare non era stata rilevata la mancanza del requisito dell'ininterrotta separazione, necessario ai sensi dell'articolo 3, comma 2 della predetta legge, per la proposizione della domanda di divorzio. Secondo la ricorrente, i coniugi sarebbero tornati a convivere dopo la sentenza di separazione pur essendoci stati dei periodi in cui il (OMISSIS) era stato detenuto.

- Violazione e falsa applicazione (ex articolo 360 c.p.c., n. 3) dell'articolo 192 cod. civ., in ordine al diritto del coniuge alla restituzione delle somme anticipate per la ristrutturazione della casa coniugale per non avere la Corte d'Appello rilevato che, essendoci un regime di separazione dei beni, il (OMISSIS), non proprietario del bene per la cui ristrutturazione erano stati effettuati esborsi con denaro appartenente alla sola (OMISSIS), doveva restituire le somme da questa anticipate essendo state prelevate "dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune" (articolo 192 c.c., comma 3).

- Omessa, contraddittoria, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (ex articolo 360 c.p.c., n. 5), in relazione al denegato assegno divorzile. La Corte d'Appello avrebbe omesso, secondo la ricorrente, l'esame delle reali condizioni economiche del (OMISSIS), che ha sia la disponibilita' dell'immobile sia un contratto di lavoro subordinato, mentre nella sentenza oggetto del ricorso, si legge che egli non avrebbe redditi che possono consentirgli di aiutare l'ex coniuge.

- Violazione e falsa applicazione (ex articolo 360 c.p.c., n. 3) della Legge n. 898 del 1970, articolo 5 e successive modifiche in relazione al denegato assegno divorzile. La Corte d'Appello, soffermandosi solo sull'esame della situazione reddituale delle parti, avrebbe omesso di valutare le ragioni oggettive per cui la ricorrente non potrebbe procurarsi un reddito, ne' tantomeno si era valutato il contributo personale dato alla conduzione familiare. Secondo la difesa della ricorrente questa, essendosi dedicata sempre alla famiglia, non avrebbe potuto acquisire negli anni capacita' tecniche e professionali ne' conseguire una specializzazione.

Il primo motivo e' manifestamente infondato. La convivenza ripresa dopo la separazione ed idonea ad interromperla, non deve essere caratterizzata dalla temporaneita', dovendosi ricostituire concretamente il preesistente vincolo coniugale, nella sua essenza materiale e spirituale, di certo non realizzabile se l'altro coniuge si trova in carcere. La giurisprudenza di legittimita' si e' espressa su un caso simile affermando un principio fondamentale: "Nella disciplina della cessazione degli effetti civili del matrimonio, il pregresso stato di separazione tra i coniugi (concretante un vero e proprio requisito dell'azione, Legge n. 898 del 1970, ex articolo 3, comma 2) puo' legittimamente dirsi interrotto nel caso in cui si sia concretamente e durevolmente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell'insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali si' da ridar vita al pregresso vincolo coniugale, e non anche quando il riavvicinamento dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, rivesta caratteri di temporaneita' ed occasionante (principio affermato dalla S.C. con riferimento ad una vicenda di riavvicinamento coniugale concretatosi nel semplice ripristino della convivenza per un limitato periodo di tempo in conseguenza dello stato di detenzione domiciliare del marito)" (Cass. sentenza n. 1227 del 04/02/2000). Nella specie come rilevato dalla Corte d'Appello con apprezzamento di fatto incensurabile, la coabitazione peraltro non continuativa non era fondata su una riconciliazione provvisoria o definitiva ma esclusivamente sulla base delle esigenze abitative occasionali del (OMISSIS). Il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente inammissibile. L'articolo 40 cod. proc. civ., permette di concentrare nello stesso processo, domande soggette a riti diversi, soltanto pero' qualora vi siano specifiche ipotesi di connessione, elencate negli articoli 31, 32, 34, 35 e 36. La domanda di divisione dei beni immobili, di restituzione di beni mobili, di restituzione e pagamento di somme, sono soggette al rito ordinario, mentre la domanda di divorzio e' soggetta al rito camerale; le prime sono domande non legate dal vincolo della connessione e del tutto autonome rispetto alla domanda di divorzio (Cass. sentenza n. 10356 del 17/05/2005; Cass. sentenza n. 6660 del 15/05/2001; Cass. sentenza n. 266 del 12/01/2000).

Il terzo motivo e' inammissibile richiedendo alla Corte il riesame della valutazione dei fatti non consentito in sede di giudizio di legittimita' (S.U. 24148 del 2013). Il quarto motivo risulta manifestamente infondato. Il giudice del merito non e' tenuto a fornire di una puntuale giustificazione nella propria decisione, di tutti, contemporaneamente e nella stessa misura, i parametri di riferimento indicati dalla Legge n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6 (Cass. sentenza n. 2546 del 05/02/2014; Cass. sentenza n. 7601 del 04/04/2011), essendo sufficiente che motivi adeguatamente in ordine alla selezione prescelta. Nella specie e' stato ritenuto con motivazione adeguata che la mancanza di redditi fosse dovuta alla detenzione in carcere mentre le contrastanti affermazioni della ricorrente sono state meramente dichiarate.

Ove si condividano i predetti rilievi, il ricorso va respinto".

Rilevato che il Collegio aderisce senza rilievi alla relazione depositata.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

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