Non scatta il reato ex articolo 574 Cp se un genitore, in assenza di un provvedimento del giudice che attribuisce la potestà all'altro, decide di passare una giornata con il figlio nella casa delle vacanze

Affinche' la condotta di uno dei due coniugi possa integrare l'ipotesi criminosa prevista dall'articolo 574 c.p., e' necessario che il comportamento dell'agente porti ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza dell'altro genitore, cosi' da impedirgli l'esercizio della funzione educativa ed i poteri inerenti all'affidamento - affidamento de jure che comunque nel caso di specie non vi era ancora stato - rendendogli impossibile l'ufficio che gli e' stato conferito dall'ordinamento nell'interesse del minore stesso e della societa' (Corte di Cassazione Sezione 5 Penale,Sentenza del 1 ottobre 2008, n. 37321).



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NARDI Domenico - Presidente

Dott. CALABRESE Renato Luigi - Consigliere

Dott. PIZZUTI Giuseppe - Consigliere

Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere

Dott. FUMO Maurizio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) SA. EN. PA., N. IL (OMESSO);

avverso SENTENZA del 26/03/2007 CORTE APPELLO di CAGLIARI;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. MARASCA GENNARO;

Udito il Pubblico Ministero in persona del Dr. Ciampoli Luigi, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.

La Corte di Cassazione:

OSSERVA

Il piccolo Sa. Mi. di anni due era di fatto affidato alla madre S. M. a seguito della separazione di quest'ultima da Sa. En. Pa., padre del bambino.

Risulta che in data (OMESSO) il Sa. prelevo' il bambino dall'asilo e lo tenne con se' fino alla sera del (OMESSO) in localita' diversa da quella di residenza e contro la volonta' della madre affidataria di fatto.

Soltanto il 3 marzo il Tribunale per i minorenni di Cagliari affido' il bambino alla madre con possibilita' del padre di vedere il bimbo due volte la settimana in ora pomeridiana.

Il Sa. riconsegno' il bambino dopo avere ottenuto che la S. firmasse una scrittura contenente accordi relativi al suo diritto di visita del minore.

Per i fatti dei giorni (OMESSO) il Sa. era tratto a giudizio per rispondere dei delitti di violenza privata, sottrazione di minore e violazione dei provvedimenti del giudice.

Il Tribunale di Cagliari, con sentenza emessa in data 8 marzo 2005, condannava, anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile, Sa. En. per il delitto di cui all'articolo 610 c.p., mentre lo assolveva perche' il fatto non sussiste dai delitti di cui agli articoli 388 e 574 c.p., sul presupposto in quest'ultimo caso di una breve durata della sottrazione.

A seguito delle impugnazione dell'imputato e del Pubblico Ministero in relazione alla assoluzione dal delitto di cui all'articolo 574 c.p., la Corte di Appello di Cagliari, con sentenza del 26 marzo 2007, dopo avere rigettato le eccezioni concernenti la nullita' della notificazione dell'avviso di cui all'articolo 415 bis c.p.p. per mancato rispetto dell'articolo 157 c.p., la omissione dell'interrogatorio dell'indagato da parte del Pubblico Ministero, la nullita' della ordinanza emessa dal Tribunale in data 22 gennaio 2002, con la quale era stata dichiarata la inammissibilita' della lista testi a difesa perche' presentata dal terzo difensore, la invalidita' della nomina quale difensore dell'avvocato Bellu, nonche' la inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese da S. M., S. F., Ma. Ad. e Pi. Te. perche' querelati dall'imputato, confermava l'affermazione di responsabilita' dell'imputato per il delitto di cui all'articolo 610 c.p.p. e, in accoglimento dell'appello del Pubblico Ministero, condannava, altresi', il Sa. per il delitto di cui all'articolo 574 c.p..

Con il ricorso per Cassazione Sa. En. Pa. ha dedotto:

1) la inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullita' (articolo 415 bis c.p.p. e articolo 157 c.p.p., commi 7 e 8, articolo 59 disp. att. c.p.p.; Legge n. 890 del 1982, articolo 8 comma 3; articolo 415 bis c.p.p., comma 3 e articolo 552 c.p.p., comma 2) perche' l'ufficiale giudiziario aveva notificato l'avviso di cui all'articolo 415 bis c.p.p. con avviso presso la casa comunale, restato giacente 11 giorni, senza effettuare previamente un secondo accesso presso i luoghi stabiliti dall'articolo 157 c.p.p. e cio' aveva impedito al ricorrente il conseguimento della effettiva conoscenza dell'atto.

Inoltre la disciplina dettata per le notifiche a mezzo posta doveva ritenersi applicabile anche alle notifiche fatte ai sensi del comma 8 dell'articolo 157 c.p.p..

Da tali inadempienze era derivata la non decorrenza del termine di cui all'articolo 415 bis c.p.p., comma 3, e, quindi, la nullita' del decreto che dispone il giudizio di cui all'articolo 552 c.p.p., comma 2;

2) la violazione dell'articolo 96 c.p.p. e articolo 24 disp. att. c.p.p., sia perche' la nomina dell'avvocato Bellu si doveva ritenere priva di effetti perche' mancante della data di sottoscrizione e di qualsiasi riferimento al procedimento in oggetto, sia perche' con la presentazione della lista testi si era resa manifesta per facta concludentia la volonta' del Sa. di farsi difendere dall'avvocato Filippi e di revocare precedenti nomine;

3) la violazione dell'articolo 371 c.p.p., comma 2, lettera b), articolo 197 c.p.p., lettera b) e articolo 191 c.p.p. perche' la S. M. era incompatibile con l'ufficio di testimone essendo stata denunciata dal Sa. per fatti comunque riconducibili al disagio familiare che i due stavano vivendo.

Stesso discorso doveva essere fatto per i testimoni Pi. Te., S. F. e Ma. Ad., ne' poteva avere rilievo che i procedimenti relativi alle persone indicate erano stati archiviati.

4) la erronea applicazione della legge penale con riferimento all'articolo 610 c.p., mancando gli elementi costitutivi del reato contestato sia perche' il foglio firmato dalla S. non era altro che la conclusione di trattative sul punto tra le due parti accolta, peraltro, dal Tribunale per i minorenni, sia perche' non poteva considerarsi male ingiusto quello di tenere a dormire il proprio figlio presso di se'; tutto al piu' si sarebbe potuto intravedere nella fattispecie il delitto di cui all'articolo 393 c.p..

5) la erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 574 c.p. perche' la condotta del Sa., peraltro protrattasi per breve tempo durante il quale il ricorrente era in contatto telefonico con la S. ed in un luogo abituale quale e' quello della casa al mare, costituiva esplicazione della potesta' genitoriale in assenza di qualsiasi provvedimento giudiziale che disciplinasse i rapporti tra i genitori.

6) la pronuncia di declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione ai sensi degli articoli 129 e 609 c.p.p..

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da Sa. En. Pa. sono fondati nei limiti di cui si dira'.

Con riferimento al reato di cui all'articolo 610 c.p., in accoglimento del sesto motivo di impugnazione, va detto che il termine prescrizionale di sette anni e sei mesi di cui al previgente testo dell'articolo 157 c.p., e' scaduto il 2 settembre 2007, essendosi i fatti verificati il (OMESSO) e non risultando cause di sospensione del termine prescrizionale.

Non ricorrono i presupposti per un proscioglimento con formula piena del Sa. ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, da tale reato, tenuto conto di quanto e' emerso a carico dell'imputato e messo in evidenza in entrambe le sentenze di merito, ed i motivi di ricorso non sono inammissibili, come meglio si dira'.

Si deve, pertanto, prendere atto del tempo trascorso e dichiarare la estinzione del reato di cui all'articolo 610 c.p.p. per intervenuta prescrizione.

I motivi di ricorso concernenti tale capo di imputazione debbono tuttavia essere esaminati ai sensi dell'articolo 578 c.p.p. agli effetti civili.

Non e' fondato il primo motivo di impugnazione cosi' come correttamente stabilito dalla Corte di merito.

L'avviso di cui all'articolo 415 bis c.p.p. e' stato notificato all'imputato mediante deposito dell'avviso nella casa comunale, ai sensi dell'articolo 157 c.p.p., comma 8, essendo rimasti infruttuosi uno o due accessi dell'ufficiale giudiziario nei luoghi indicati all'articolo 157 c.p.p., comma 1.

Quanto al ed problema del doppio accesso si deve rilevare che qualora, in caso di impossibilita' di consegna dell'atto a mani dell'imputato o delle altre persone indicate nell'articolo 157 c.p.p., si proceda alla notificazione secondo la formalita' del deposito nella casa comunale, la mancata previa effettuazione di nuove ricerche dell'imputato, prescritta dal citato articolo, comma 7, costituisce una mera irregolarita', non rientrando tale ipotesi in quelle di nullita' contemplate dall'articolo 171 c.p.p. (Cass. 22 aprile 1997, Sabatino, CED 209315).

Ne consegue che ai fini della decisione non appare rilevante stabilire se vi sia stato o meno il doppio accesso prima del deposito dell'atto nella casa comunale.

Quanto agli altri aspetti del motivo di ricorso va detto che, come e' stato osservato ripetutamente dalla Suprema Corte, la legge prescrive che l'ufficiale giudiziario, dopo due inutili accessi presso i luoghi indicati nei primi due commi dell'articolo 157 c.p.p., provveda a depositare l'atto presso la Casa comunale, dandone avviso all'interessato mediante affissione alla porta del luogo di abitazione o di lavoro, e mediante lettera raccomandata spedita con avviso di ricevimento. La ricezione di quest'ultima, ai sensi dell'articolo 157 c.p.p., comma 8, esaurisce il procedimento, di talche' va escluso che, per la regolarita' dell'avviso recato con la raccomandata, debbano osservarsi le disposizioni di cui alla Legge 20 novembre 1992, n. 890, articolo 8, commi 3 e 4 - che concerne la diversa ipotesi di notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari - nella portata risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimita' deliberata dalla Corte Costituzionale con sentenza 23 settembre 1998 n. 346.

Conseguentemente, nel caso in cui la raccomandata non venga recapitata per assenza o inidoneita' delle persone chiamate a riceverla (ma di cio' il ricorrente nemmeno si duole), e non venga ritirata nei termini (cio' e' accaduto nel caso di specie perche' l'imputato all'undicesimo giorno di deposito non aveva ancora ritirato la raccomandata), l'ufficiale giudiziario non e' chiamato ad informare l'interessato del relativo deposito e delle formalita' compiute mediante nuova raccomandata con avviso di ricevimento.

La Corte di Cassazione ha altresi' precisato che il procedimento regolato dall'articolo 157 c.p.p. assicura le esigenze di razionalita' e garanzia del diritto di difesa affermate dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 346 del 1998 ed ha escluso che con la successiva ordinanza 20 aprile 2000 n. 111, ove si era ritenuta plausibile la tesi che la Legge n. 890 del 1992, articolo 8 potesse applicarsi integralmente alla comunicazione mediante raccomandata prescritta dall'articolo 157 c.p.p., comma 8, la Consulta abbia inteso estendere alla norma processuale penale le prescrizioni additive della propria precedente pronuncia (per i principi enunciati vedi in termini Cass. 3 marzo 2003 - 1 luglio 2003, n. 28303, CED 225713; Cass. 2 novembre 1999, Li Petri, CED 215843). A tali indirizzi, fondati su una precisa ricostruzione dell'istituto della notifica a mezzo deposito nella casa comunale e su una corretta interpretazione letterale e logico - sistematica delle norme in discussione il Collegio intende uniformarsi, cosicche' infondati si rivelano i rilievi del ricorrente sul punto.

Deve, pertanto, ritenersi che la notifica dell'avviso ex articolo 415 bis c.p.p. sia avvenuta regolarmente.

Da quanto detto deriva anche la infondatezza del rilievo concernente la mancata effettuazione dell'interrogatorio dell'indagato, che ne aveva fatto richiesta, da parte del Pubblico Ministero.

Ed, infatti, ritenuta corretta la notifica dell'avviso ex articolo 415 bis c.p.p., si deve ritenere, come correttamente osservato dai giudici del merito, che la richiesta di essere interrogato del Sa. sia stata effettuata oltre i venti giorni indicati nell'avviso ex articolo 415 bis c.p.p., potendo, quindi, essere disattesa dal Pubblico Ministero.

E' infondato anche il secondo motivo di impugnazione.

L'imputato aveva nominato due difensori, e precisamente gli avvocati Bellu e Madau, e successivamente ha nominato l'avvocato Filippi, che ha presentato la lista testi.

Correttamente la Corte di merito ha stabilito che la nomina dell'avvocato Filippi, non avesse alcun effetto perche' l'imputato non aveva revocato alcuna precedente nomina, cosi' come stabilito dall'articolo 24 disp. att. c.p.p., e confermato da numerose pronunce della Corte di Cassazione (ex multis vedi Cass., Sez. 5 penale, 17 giugno 1999 - 8 luglio 1999, n. 8757 e Cass., Sez. 2, penale 7 giugno 2005 - 22 luglio 2005, n. 27510).

Da tale decisione e' conseguita ragionevolmente la inammissibilita' della lista testimoniale presentata dall'avvocato Filippi.

Quanto al fatto che la nomina dell'avvocato Bellu non sarebbe valida per mancanza, nell'atto di nomina, del riferimento al procedimento penale, e' sufficiente rilevare che, come correttamente stabilito dalla Corte di merito, la nomina venne presentata all'Autorita' Giudiziaria procedente e non vi era pendente a carico dell'imputato nessun altro procedimento, cosicche' nessun equivoco era possibile in ordine alla manifestazione di volonta' dell'imputato.

Infine il fatto che l'avvocato Filippi avesse presentato una lista testi non costituisce elemento chiaro di volonta' di revoca di uno dei due difensori nominati precedentemente; tra l'altro sarebbe davvero impossibile stabilire quale dei due precedenti difensori l'imputato avesse voluto tacitamente revocare.

E' infondato anche il terzo motivo di ricorso con il quale il ricorrente ha eccepito la inutilizzabilita' delle testimonianze della persona offesa S. M. e dei testimoni Pi. Te., S. F. e Ma. Ad., essendo stati tutti costoro querelati dal ricorrente; la sanzione di inutilizzabilita' deriverebbe dalla applicazione dell'articolo 371 c.p.p., comma 2, lettera b), articolo 197 c.p.p., lettera b) e articolo 191 c.p.p..

Pur prescindendo dalla circostanza che le posizioni delle indicate persone sono state definite con una archiviazione, va detto che la eccezione deve essere disattesa, come correttamente stabilito dalla Corte di merito. In punto di fatto bisogna ricordare che Ma. Ad. era stata querelata per il delitto di diffamazione commesso il (OMESSO), Pi. e S. F. per reati di ingiuria commessi rispettivamente in data (OMESSO) e S. M. per il delitto di lesioni commesso nel mese di (OMESSO).

Orbene la inutilizzabilita' delle testimonianze rese e' ravvisabile soltanto quando ricorrano le condizioni indicate dagli articoli dinanzi indicati, ovvero quando tra i reati commessi dall'imputato e quelli commessi dai testimoni vi sia connessione ai sensi dell'articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera c), o sia ravvisabile un collegamento ai sensi dell'articolo 371 c.p.p..

La Corte di merito ha escluso che nel caso di specie fossero ravvisabili ipotesi di connessione o di collegamento dal momento che i reati per i quali si procede non sono stati commessi per eseguirne o occultarne altri, non sono stati commessi in occasione di altri, non sono stati commessi per assicurare al colpevole o ad altri il profitto del reato, non sono stati commessi in danno reciproco ne' la prova di un reato ha influito sulla prova dell'altro, essendo, peraltro, quasi tutti risalenti a periodi di tempo diversi ed anche molto distanti tra loro.

Insomma si tratta di fatti del tutto indipendenti gli uni dagli altri commessi a distanza anche di cinque mesi l'uno dall'altro, fatta eccezione per il fatto attribuito al Pi., della cui testimonianza la Corte di merito non ha, comunque, tenuto conto.

La motivazione della Corte di merito non merita alcuna censura sotto il profilo della legittimita' perche' nella valutazione della situazione ha fatto corretta applicazione delle norme processuali citate e degli orientamenti interpretativi della Corte Suprema.

Ed infatti la connessione probatoria di cui all'articolo 371 c.p.p., comma 2, lettera b), tale da determinare l'incompatibilita' con l'ufficio di testimone di cui all'articolo 197 c.p.p., comma 1, lettera b), deve riferirsi ad elementi oggettivi di modo che l'accertamento dell'uno sia destinato ad influire su quello degli altri, non potendosi fare discendere dal solo stato di imputato di un reato in danno della persona nei confronti della quale si procede (cosi' Cass., Sez. 3, 7 giugno 2006 - 11 luglio 2006, n. 23894, CED 234423).

Insomma, come e' stato gia' efficacemente rilevato da alcuni giudici di merito, l'esistenza di un collegamento utile a mutare la veste del dichiarante da teste a teste assistito ai sensi dell'articolo 371 c.p.p., comma 2, lettera b) e' ravvisabile soltanto in costanza di un diretto, quanto concreto, rapporto di connessione probatoria tra il processo in trattazione ed il procedimento o il processo cui il dichiarante e', o e' stato, sottoposto, e cioe' quando il collegamento probatorio tra i procedimenti sia oggettivamente fondato sulla identita' del fatto, ovvero sulla identita' o sulla diretta rilevanza di uno degli elementi di prova dei reati oggetto dei diversi processi.

Le pur dotte osservazioni del ricorrente non consentono di superare tali indirizzi specialmente se si considera che l'unico elemento rilevante del dedotto collegamento tra i reati contestati all'imputato e quelli attribuiti ai testimoni sarebbe, in buona sostanza, costituito dal fatto che essi sarebbero maturati nello stesso clima di disagio familiare che il Sa. e la S. stavano vivendo.

Francamente si tratta di un collegamento tra i vari episodi assai labile, che se legittima un particolare rigore nella valutazione delle singole testimonianze, che e' riscontrabile nella specie, non consente di pervenire ad una valutazione di inutilizzabilita' della prova ex articolo 191 c.p.p., non potendosi ravvisare alcuna violazione degli articoli 371 e 197 c.p.p. piu' volte richiamati.

E' parzialmente fondato il quarto motivo di impugnazione con il quale il ricorrente ha contestato la sussistenza del reato di cui all'articolo 610 c.p..

In effetti i giudici del merito hanno motivato la sussistenza del reato ritenendo una anomalia che il padre tenesse con se' per una giornata e mezzo un bambino di due anni e che, pertanto, tale comportamento costituisse una minaccia o una violenza in danno della parte lesa rilevante ai sensi dell'articolo 610 c.p..

I giudici, inoltre, hanno ritenuto che siffatto comportamento fosse dettato non tanto dal legittimo e comprensibile desiderio di un padre di trascorrere alcune ore con il figlio, ma dalla volonta' di coartare la volonta' della parte lesa; in particolare l'imputato avrebbe con tale comportamento costretto la madre del bambino ad accettare un accordo che prevedeva il suo diritto di vedere il bambino due volte la settimana.

Orbene la motivazione sul punto non appare del tutto immune da vizi logici sia perche' e' difficile, in assenza di altri piu' consistenti elementi, ritenere violenta e minacciosa la condotta di un padre, contitolare della potesta' genitoriale, che, in assenza di un provvedimento dell'Autorita' Giudiziaria che disciplinasse i tempi e le modalita' di visita al bambino del genitore non piu' convivente con la madre del bambino, decida di trascorrere una notte con il proprio figlio presso una delle abitazioni - quella utilizzata nel periodo estivo - della famiglia, sia perche' dalla motivazione non si comprende se la firma dell'accordo, successivamente convalidato dal Tribunale per i minorenni, sia frutto di tale presunta violenza o la conclusione di trattative gia' in corso da tempo tra il Sa. e la S..

Si impone, pertanto, il riesame della situazione ed un approfondimento della vicenda che dovranno essere effettuati, agli effetti civili, dal giudice civile competente per valore in grado di appello.

Fondato e', infine, il quinto motivo di impugnazione con il quale il ricorrente ha dedotto la erronea applicazione dell'articolo 574 c.p..

Come si e' gia' rilevato i genitori del bambino si erano separati e di fatto il bambino viveva con la madre nella ex casa coniugale, ma non vi era stato ancora alcun provvedimento di assegnazione del bambino ad uno dei genitori.

In assenza di un provvedimento del giudice di affidamento del minore ad uno dei genitori con conseguente attribuzione della potesta' genitoriale in via esclusiva al genitore affidatario, la predetta potesta' spetta, invero, ad entrambi i genitori che sono contitolari dei poteri - doveri disciplinati dall'articolo 316 c.c..

Cio' ovviamente non significa che in caso di sottrazione di un minore ad opera di uno dei due titolari della potesta' genitoriale in danno dell'altro non sia configurabile il delitto di cui all'articolo 574 c.p..

Tuttavia affinche' la condotta di uno dei due coniugi possa integrare l'ipotesi criminosa prevista dall'articolo 574 c.p., e' necessario che il comportamento dell'agente porti ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza dell'altro genitore, cosi' da impedirgli l'esercizio della funzione educativa ed i poteri inerenti all'affidamento - affidamento de jure che comunque nel caso di specie non vi era ancora stato - rendendogli impossibile l'ufficio che gli e' stato conferito dall'ordinamento nell'interesse del minore stesso e della societa' (Cass., Sez. 6, 8 aprile 1999 - 16 giugno 1999, n. 7836).

Insomma dal momento che il delitto di cui all'articolo 574 c.p. e' plurioffensivo in quanto lede non soltanto il diritto di chi esercita la potesta' del genitore, ma anche quello del figlio a vivere nell'habitat naturale (Cass. 7 luglio 1992, Bonato), per integrare il delitto contestato e' necessario che l'agente prenda con se' il figlio, contro la volonta' dell'altro genitore, per un periodo di tempo rilevante, tanto da impedire all'altro genitore di esplicare la propria potesta' e di sottrarre il bambino dal luogo di abituale dimora.

Nel caso di specie non risultano compromessi i beni tutelati dalla norma in esame perche', come risulta dalle sentenze di merito, la sottrazione si consumo' in un breve spazio temporale - un giorno e mezzo -, il bambino passo' una notte in un ambiente a lui non estraneo, perche' si trattava della casa al mare abitualmente utilizzata dalla famiglia, ed i contatti telefonici tra i due genitori furono frequenti.

Infine va detto che anche il padre ha diritto di passare un po' di tempo con il proprio figlio, apparendo del tutto irragionevole la pretesa che in assenza di un provvedimento giudiziale ed in presenza di una situazione di mero fatto che veda il bambino affidato alla madre gli sia preclusa del tutto una tale possibilita'.

Gli argomenti esposti fanno, pertanto, ritenere insussistente, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, il reato contestato all'imputato.

Per tutte le ragioni indicate la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato ex articolo 574 c.p. perche' il fatto non sussiste e in ordine al reato di cui all'articolo 610 c.p. perche' estinto per intervenuta prescrizione.

La sentenza impugnata deve essere annullata agli effetti civili in relazione al reato di cui all'articolo 610 c.p. con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'articolo 574 c.p. perche' il fatto non sussiste e in ordine al reato di cui all'articolo 610 c.p. perche' estinto per prescrizione;

Annulla agli effetti civili la sentenza impugnata in relazione al reato di cui all'articolo 610 c.p. con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

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