Revoca dell'assegnazione della casa coniugale e trasferimento del figlio maggiorenne

I Giudici della I sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 10222/2010, hanno stabilito che l'esclusione della modificabilità dei provvedimenti concernenti l'assegnazione della casa coniugale, sarebbe priva di una valida giustificazione giuridica nell'ipotesi in cui manchino le ragioni che l'hanno determinata. Sono modificabili le statuizioni relative alla assegnazione della casa coniugale, nel caso in cui vengano a mancare i presupposti che hanno determinato la stessa. Con la sentenza predetta la Corte ha, infatti, spiegato che la mancanza di una specifica previsione delle disposizioni relative all'assegnazione della casa coniugale, non esclude la loro modificabilità in ogni tempo al pari di quelle, espressamente previste, concernenti l´affidamento dei figli nonché la misura e le modalità dell´assegno divorzile.

Cassazione civile , sez. I, sentenza 28.04.2010 n° 10222



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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 28 aprile 2010, n. 10222

Svolgimento del processo

Con ricorso del 23.10.2003 V.G. chiedeva al Tribunale di Lecce, relativamente alla assegnazione della casa coniugale di sua esclusiva proprietà alla ex moglie M.A. ed all'obbligo di corrispondere alla medesima un assegno divorzile di L. 250.000 disposto dallo stesso Tribunale con la sentenza di divorzio n. 1456/01, la modifica delle condizioni in essa contenute, deducendo che era venuto meno il presupposto indefettibile della presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti per l'assegnazione della casa coniugale in quanto il loro unico figlio Luca, dopo la laurea in giurisprudenza, si era trasferito a Milano ove svolgeva un'attività lavorativa e che le condizioni economiche della moglie erano migliorate rispetto all'epoca della sentenza di divorzio avendo nel frattempo maturato il diritto ad una pensione di anzianità di Euro 593,00.

Si costituiva la M. che chiedeva il rigetto della domanda.

Il Tribunale, con decreto del 21.4.2004, rigettava entrambe le richieste, sostenendo, quanto alla prima (revoca dell'assegnazione della casa coniugale), che si era formato il giudicato con la pronuncia emessa in sede di divorzio e, quanto alla seconda, che non erano sopravvenuti significativi mutamenti delle condizioni economiche della beneficiaria.

Proponeva reclamo il V. ed all'esito del giudizio, nel quale si costituiva la M. chiedendone il rigetto, la Corte d'Appello di Lecce con decreto del 31.5.2005 revocava l'assegnazione alla M. della casa coniugale di esclusiva proprietà del V. e rigettava invece la richiesta di revoca dell'assegno divorzile.

Escludeva la Corte d'Appello che sulla assegnazione della casa coniugale si fosse formato il giudicato, ritenendo che anche in relazione a tale punto vale il principio generale della modificabilità in ogni tempo per fatti sopravvenuti, dovendosi ritenere applicabile la L. n. 898 del 1970, art. 9 a tutti i provvedimenti riguardanti la pronuncia di divorzio.

Sottolineava al riguardo che con il trasferimento a (OMISSIS) per lavoro dell'unico figlio si erano realizzate le condizioni per accogliere la richiesta di modifica.

Osservava infine che, in mancanza di un reclamo incidentale da parte della resistente, non era consentito riequilibrare la perdita economica conseguente all'obbligo di rilasciare la casa coniugale con un aumento dell'assegno divorzile ma che tale perdita giustificava comunque ampiamente il rigetto del secondo motivo di reclamo relativo alla revoca dell'assegno divorzile.

Avverso tale decreto propone ricorso per cassazione M. A., deducendo tre motivi di censura illustrati anche con memoria.

Resiste con controricorso, illustrato anch'esso con memoria, V. G..

Motivi della decisione

Pregiudizialmente deve essere rigettata la eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata sul rilievo che, essendo stato proposto avverso il decreto della Corte d'Appello che ha deciso sul reclamo in ordine ai provvedimenti emessi dal Tribunale in sede di modifica delle condizioni delle condizioni adottate con la pronuncia di divorzio, esso è impugnabile in cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. e, come tale, unicamente per violazione di legge.

Orbene, risalendo il deposito del decreto impugnato al giorno 25.11.2005, non trovano certamente applicazione le modifiche apportate all'art. 360 c.p.c., dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 che, con decorrenza dal 2.3.2006 (vedi il regime transitorio di cui all'art. 27 della stessa Legge), ha previsto, anche per i provvedimenti diversi dalle sentenze, la ricorribilità in cassazione per tutte le ipotesi indicate dal citato art. 360 c.p.c..

Tuttavia nell'ipotesi in esame le censure riguardano specifiche violazioni di legge le quali non solo sono state indicate nell'intestazione dei motivi di ricorso, ma costituiscono, come si vedrà, un costante riferimento nell'esposizione delle ragioni delle doglianze.

Con il primo motivo di ricorso M.A. denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., lamentando che la Corte d'Appello abbia modificato la statuizione relativa all'assegnazione della casa coniugale nonostante sul punto si fosse formato il giudicato con la sentenza di divorzio che l'aveva disposta e malgrado la relativa domanda fosse stata proposta tardivamente.

Deduce al riguardo che la L. n. 898 del 1970, art. 9 prevede espressamente la modificabilità dei soli provvedimenti riguardanti l'affidamento dei figli e la misura dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 6. Lamenta che la Corte d'Appello, abbia disposto la revoca dell'assegnazione della casa coniugale, nonostante avesse preso atto che l'originario provvedimento del Tribunale non fosse giustificato unicamente dall'esigenza di tutela della prole ma avesse anche la finalità di integrazione dell'assegno. Deduce inoltre che, indipendentemente dalla mancata proposizione del reclamo incidentale subordinato, la Corte d'Appello avrebbe dovuto integrare l'assegno divorzile per compensare la revoca dell'assegnazione della casa coniugale.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell'art. 2697 c.c.. Deduce che erroneamente la Corte d'Appello non ha accolto, senza fornire alcuna motivazione, le richieste istruttorie volte ad accertare presso la Banca Popolare Pugliese, filiale di (OMISSIS), l'effettivo introito mensile del V.. Sostiene altresì, quanto alla casa coniugale, che la stessa Corte d'Appello, con riferimento alla situazione del figlio, ha osservato che questi viveva ormai a (OMISSIS) ove svolgeva una (non meglio precisata) attività professionale, mostrando così di basarsi su riferimenti non precisi.

Gli esposti motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione logica e giuridica, sono infondati.

La mancanza di un'espressa previsione nella L. n. 898 del 1970, art. 9 - come sostituito da ultimo dalla L. n. 74 del 1987, art. 13 riguardante la modificazione dei provvedimenti adottati in sede di divorzio - delle disposizioni relative all'assegnazione della casa coniugale non esclude la loro modificabilità in ogni tempo al pari di quelle, espressamente previste, concernenti l'affidamento dei figli nonchè la misura e le modalità dell'assegno divorzile.

La modificabilità dei provvedimenti conseguenti alla pronuncia di divorzio (come di quelli adottati in sede di separazione) costituisce infatti un principio generale che trascende la specifica previsione contenuta nella richiamata normativa e deve ritenersi consentita pertanto anche in tema di assegnazione della casa coniugale, la cui eclusione peraltro sarebbe priva di alcuna valida giustificazione giuridica qualora vengano meno le ragioni che l'hanno determinata.

Accertata in linea di principio la modificabilità del provvedimento anche in ordine all'assegnazione della casa coniugale, va rilevato che il ricorso in esame si caratterizza per un particolare aspetto che non sarebbe stato colto dalla Corte d'Appello, costituito dal fatto che detta assegnazione in sede di divorzio era stata disposta ad "integrazione del magro assegno di mantenimento" e che sul punto in mancanza di L. impugnazione si sarebbe formato il giudicato, con la conseguente impossibilità, secondo l'implicito assunto della ricorrente, di una modifica basata sull'intervenuto trasferimento del figlio in altra città e sul venir meno pertanto della convivenza con la madre.

Al riguardo si osserva che il presupposto indefettibile per l'assegnazione della casa coniugale al coniuge non titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale è costituito dalla presenza di figli minori ancora economicamente non autosufficienti, pur non essendo preclusa in tal caso una valutazione sulle conseguenze di carattere economico che un tale provvedimento comporta, cui l'art. 6, comma 6 della Legge sul divorzio fa espresso riferimento, e che ben possono essere bilanciate tenendone presente l'incidenza in sede di determinazione dell'assegno divorzile.

Pertanto, qualora la statuizione, in presenza della prole, relativa all'assegnazione della casa coniugale sia stata espressamente giustificata pure a titolo di integrazione delle disposizioni di carattere economico, a maggior ragione il venir meno di detto presupposto, rappresentato ripetesi dalla presenza della prole, non preclude la modifica del relativo provvedimento ma potrebbe legittimamente giustificare in tal caso la rideterminazione dell'assegno divorzile. Su tale specifico punto però, su cui la ricorrente ha proposto una specifica censura con il terzo motivo, la Corte d'Appello, come correttamente ha rilevato, non avrebbe potuto pronunciarsi in mancanza di un'apposita impugnazione incidentale da parte dell'interessata in ordine all'incremento dell'assegno.

D'altra parte non risulta dal ricorso in esame se la ricorrente avanti ala Corte d'Appello abbia introdotto, come invece è avvenuto in questa sede, la specifica questione relativa alla particolare connotazione integrativa che sarebbe stata attribuita all'assegnazione della casa coniugale, con la conseguenza che nessuna censura può muoversi in questa sede avverso il decreto impugnato che non ne ha fatto menzione.

Il ricorso va pertanto rigettato.

La peculiarità delle questioni trattate giustifica la totale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

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