Se i genitori litigano i figli possono essere affidati al Comune

L'incapacità dei genitori di avviare un pur minimo dialogo tra loro, e dalla tendenza degli stessi ad utilizzare, più o meno inconsciamente, i figli quale strumento di offesa e di rivendicazione, può legittimare l'affido temporaneo dei minori al Comune. E' qauto stabilito dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, con sentenza n. 14042 del 28 maggio 2008.



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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione prima civile

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

dott. Maria Gabriella Luccioli Presidente

dott. Paolo Giuliani consigliere

dott. Stefano Schirò consigliere

dott. Maria Rosaria Giancola Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

B.V., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Caprinica 78, presso l'avvocato Federico Mazzetti, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Buongiorno Gallegra, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

V.C. , elettivamente domiciliata in Roma via P. Da Palestrina 63, presso l'avvocato Contaldi Mario, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Greco Enrico, giusta procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 34/03 della Corte d'Appello di Genova, depositata il 12/05/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/11/2007 dal Consigliere dott. Maria Rosaria San Giorgio;

Udito il P.M. , in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giacomo Caliendo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – con sentenza in data 23 ottobre 2001, il Tribunale di Chiavari pronunziò la separazione personale dei coniugi C. V. e V. B. , respingendo la domanda di addebito alla prima,alla stregua della considerazione che i comportamenti della stessa stigmatizzati dal marito erano stati posti in essere quando il consorzio coniugale si era già disgregato, come sarebbe emerso dalla precedente decisione dei coniugi di addivenire ad una separazione consensuale, cui non si era poi dato corso; affidò i figli minori alle parti congiuntamente, disponendone il collocamento presso il padre, in considerazione della conflittualità esistente tra la figlia M. e la madre; attribuì la casa coniugale al B. e sancì la reciproca indipendenza economica dei coniugi, disponendo che ciascuno di essi provvedesse alle esigenze economiche dei figli nel periodo di loro permanenza presso di sé, con suddivisione in misura uguale delle spese mediche, sportive e scolastiche.

La pronuncia fu impugnata dal B. che censurò il rigetto della propria domanda di addebito della separazione alla moglie, nonché la statuizione relativa all'affidamento dei figli ai genitori congiuntamente, nonostante la V. avesse dato prova di incapacità di una gestione adeguata degli stessi.

Si costituì nel giudizio la V. che chiese il rigetto del gravame, e, in via di appello incidentale, l'affidamento a sé dei figli, e, in subordine, l'affido congiunto degli stessi, con collocazione di M. presso il padre e di M. presso di sé, e previsione di ampie modalità di contatto con la figlia.

2. – Con sentenza depositata il 12 maggio 2003, la corte d'appello di Genova confermò la decisione di primo grado quanto alla esclusione della addebitabilità della separazione alla V. , in base al rilievo che l'inizio della sua relazione extraconiugale aveva seguito, e non preceduto, la crisi della famiglia, sicché non poteva aver costituito la causa della disgregazione del rapporto affettivo tra i coniugi.

La decisione di primo grado fu, invece, modificata quanto alla regolamentazione dell'affidamento dei figli. Al riguardo, osservò la corte di merito che la c.t.u. disposta in sede di giudizio di appello, a modifica delle precedenti conclusioni rese dallo stesso consulente, aveva fatto emergere la opportunità di separare i due fratelli, con collocazione di M. presso la madre, e di M. presso il padre, ed attribuzione al Comune dell'affidamento di entrambi.

Il consulente tecnico di ufficio aveva rilevato, dopo aver sentito nuovamente i genitori e i ragazzi, che questi ultimi mostravano segni di sofferenza, determinata dalla incapacità dei genitori di avviare un pur minimo dialogo tra loro, e dalla tendenza degli stessi ad utilizzare, piu' o meno inconsciamente, i figli quale strumento di offesa e di rivendicazione.

Anche il rapporto tra i fratelli, aveva segnalato il consulente, era poco consistente, essendosi radicalizzate le rispettive posizioni, con insistenza di M. per la collocazione presso la madre e di M. per la conferma della sistemazione presso il padre. Ed in relazione alla evidente incapacità dei genitori di comprendere le reali esigenze dei figli, era stato suggerito l'affidamento di costoro all'ente locale. Al riguardo la Corte, ritenuta la superfluità dell'audizione dei ragazzi, richiesta dalla difesa dell'appellante, in considerazione delle acquisizioni del processo,ed avuto riguardo alla circostanza che non già il comportamento dei figli, ma quello dei genitori induceva a ritenere siffatta necessità, sottolineò che questi ultimi, pur astrattamente idonei all'affido dei figli per l'assenza di condizioni psicopatologiche, non erano, in concreto, almeno allo stato, in grado di superare il loro conflitto, che già aveva seriamente compromesso l'equilibrio dei figli. Di qui la decisione dell'affidamento dei ragazzi al Comune di Castiglione Chiavarese. Quanto alla materiale collocazione dei minori, l'età degli stessi e la tenuità del rapporto affettivo tra di loro rendevano opportuna la valorizzazione della preferenza che i ragazzi avevano manifestato.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre il B. , sulla base di due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso la V.

Motivi della decisione

1. – con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione degli artt. 143e 151 cod. civ. [1] , nonché carenza e contraddittorietà di motivazione. La corte di merito avrebbe trascurato di considerare, ai fini della decisione sulla richiesta di addebito della separazione alla V. , alcuni elementi essenziali, limitandosi a dare credito alla versione fornita da quest'ultima, secondo la quale la sua relazione extraconiugale sarebbe iniziata solo dopo che le parti avevano raggiunto un accordo per la separazione consensuale. Detta affermazione, di cui il ricorrente assume la falsità, avrebbe dovuto comunque, a suo avviso, essere comprovata dalla resistente. Né il giudice di secondo grado aveva valutato la condotta della V. , che avrebbe impedito al coniuge di incontrare i figli, avrebbe fatto ripetutamente cambiare loro domicilio e istituto scolastico, avrebbe iniziato una convivenza more uxorio prima che fossero dati i provvedimenti provvisori, avrebbe poi disatteso gli stessi provvedimenti e dimostrato assoluto disinteresse per i figli ed in particolare per M. . Nemmeno avrebbe tenuto conto la Corte ligure che gli atti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio debbono presumersi causa efficiente del formarsi e consolidarsi di una situazione di definitiva intollerabilità della prosecuzione della convivenza che ciascun coniuge, sino alla separazione legale, è tenuto ad evitare, pur se sussista una crisi coniugale, la quale, di per sé, non provoca un allentamento dei doveri nascenti dal matrimonio ex art. 143 cod. civ., sicché, ai fini della addebitabilità della separazione, non potrebbe escludersi aprioristicamente la rilevanza della violazione di detti doveri – che comprendono, oltre a quello di fedeltà, anche quello dell'assistenza morale e materiale, della collaborazione nell'interesse della famiglia e della coabitazione, doveri, tutti, ignorati dalla V. – anche se verificatasi dopo il deposito del ricorso per la separazione.

2.1. – La doglianza è immeritevole di accoglimento.

2.2. – In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola inosservanza dei doveri che l'art. 143 cod. civ. pone a carico degli stessi, implicando, invece, tale pronuncia la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario a tali doveri da parte di uno o di entrambi i coniugi, e cioè che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza. Pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito (v., ex multis, Cass., sentenze n. 14840 del 2006, n. 12383 del 2005).

Posta tale premessa, deve rilevarsi che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, sia pure in tempi immediatamente prossimi a detta cassazione, può rilevare, ai fini della dichiarazione di addebito della separazione, solo ove esse costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa (v., sul punto, Cass. sentenze n. 20256 del 2006, n. 17710 del 2005).

In ogni caso, l'apprezzamento che la violazione dei doveri medesimi, lungi dall'essere intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale, e, in definitiva, la valutazione circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza, costituisce indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, che, pertanto, non può essere censurata in sede di legittimità in presenza di una motivazione congrua e logica (v., per tutte, Cass. sentenza n. 9877 del 2006).

2.3. – Nella specie, la corte di merito ha fornito, del percorso logico che la ha condotta alla negazione di ogni efficacia causale nella crisi coniugale alla infedeltà della V. , una motivazione non affetta da carenze né da illogicità, muovendo dal rilievo della ragionevolezza del convincimento del giudice di primo grado, secondo il quale la instaurazione della relazione extraconiugale della donna fu successiva alla crisi del rapporto coniugale, rappresentandone , in qualche misura, l'effetto: convincimento acquisito sulla scorta delle risultanze acquisite e, in particolare, desunto dalla originaria decisione, assunta da entrambe le parti, evidentemente concorsi nel porre fine alla convivenza, di procedere ad una separazione consensuale.

La corte di merito si è fatta, poi, carico della circostanza che a detta separazione consensuale non si fece realmente luogo, essendosi entrambe le parti attivate per l'avvio di una causa di separazione giudiziale, e che, in particolare, il B. allegò la circostanza che la moglie avrebbe mutato condotta, instaurando la predetta relazione extraconiugale. Il giudice di secondo grado, tuttavia posta la premessa della preesistenza della crisi coniugale a tale relazione, esattamente ha escluso ogni rilievo, ai fini della addebitabilità della separazione alla V. della violazione, da parte della stessa, del dovere di fedeltà, maturata in tale contesto di cessazione di affectio coniugalis.

Né, in contrario, per le stesse ragioni, potrebbe assumere oggi, alcuna rilevanza l'affermazione del ricorrente – del resto tardiva e non suffragata da alcun elemento – secondo la quale egli avrebbe accettato l'allontanamento dalla moglie nella speranza di potersi con la stessa riconciliare.

3. – Con la seconda censura, si lamenta in violazione dell'art. 2697 cod. civ., nonché carenza di motivazione, in relazione ai comportamenti posti a carico del ricorrente, ai fini della pronuncia sull'affidamento dei figli all'ente locale, con collocamento di M. presso la madre e di M. presso il padre. La corte territoriale avrebbe recepito acriticamente le conclusioni del c.t.u., senza rilevare come esse fossero in contrasto con la parte motiva della relazione dello stesso, e come fossero intervenute a distanza di neanche tre anni dall'epoca in cui il medesimo consulente aveva ritenuto l'attuale ricorrente idoneo all'affidamento di entrambi i figli, affermando altresì la inaccettabilità della soluzione della separazione dei due fratelli. Né il giudice di secondo grado – che non aveva neanche ritenuto di convocare il consulente per chiedere chiarimenti in ordine a tale ingiustificato mutamento di opinione – avrebbe considerato il comportamento incongruo, risultante dalla stessa relazione del c.t.u. , della V. che avrebbe cercato di attirare a sè il figlio «permettendogli di non fare i compiti, lasciandolo uscire, regalandogli il motorino» e «ricattando» la figlia, che intendeva vedere il padre, ed infliggendole, per questo, addirittura punizioni. Infine, evidenzia il ricorrente che nella relazione di chi si tratta non si afferma la sua inidoneità all'affidamento dei figli, ma solo la conflittualità con la V., che non potrebbe essere a lui addebitata, derivando piuttosto dalla violazione, da parte di quest'ultima, degli ordini del giudice e dei propri doveri.

4.1. – Anche tale doglianza è priva di fondamento.

4.2. – E' consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall'aspetto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione, mentre non può esimersi da una piu' puntuale motivazione, allorquando le critiche mosse alla consulenza siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata (v. tra le altre, Cass. sent. N. 26694 del 2006).

4.3. – Nella specie la Corte di merito ha assolto in modo compiuto il proprio obbligo di motivazione delle ragioni dell'adesione alle conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. pur diverse da quelle che lo stesso consulente aveva tratto circa tre anni addietro, in occasione del giudizio di primo grado. Al riguardo, nella sentenza impugnata si dà atto, da un lato, dell'affermazione del c.t.u. in ordine alla adesione dei consulenti di parte alla delineata soluzione della sistemazione logistica dei due fratelli nel senso da ciascuno di essi auspicato, con affidamento degli stessi all'ente locale; dall'altro, della ferma opposizione alla richiamata soluzione da parte della difesa del B.

Ciò posto, il giudice di secondo grado ha, anzitutto, dato conto della ragionevolezza della modifica delle conclusioni del c.t.u., in quanto intervenuta a notevole distanza di tempo, ed avuto riguardo all'acuirsi delle tensioni tra le parti, con il conseguente inevitabile pregiudizio per lo sviluppo dei figli.

Quindi, dopo una analitica descrizione delle posizioni che sulle risultanze della relazione del c.t.u. avevano assunto i consulenti di parte e le parti medesime, la Corte di merito ha accuratamente dato conto del proprio convincimento al riguardo, stigmatizzando la incapacità dei coniugi – dei quali non ha , comunque, sottaciuto la astratta idoneità ad essere destinatari dell'affidamento dei figli – di pervenire, allo stato, ad un rasserenamento dei loro rapporti nell'interesse degli stessi figli, inferendone la necessità al fine di non compromettere l'equilibrato sviluppo dei ragazzi, di assegnarne l'affidamento ad un terzo, e, segnatamente, all'ente locale di resistenza.

Ha infine precisato il giudice di seconde cure che una siffatta statuizione, escludendo ogni «valenza premiale» nei confronti dell'uno o dell'altro dei coniugi, sottolineava, al contrario, la negatività del comportamento di entrambi con riferimento alla permanente conflittualità delle loro relazioni.

Alla stregua della considerazione della correttezza ed esaustività delle affermazioni in essa contenute, sopra riportate, la statuizione si sottrae ad ogni censura sul piano logico-giuridico.

5. – conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato ed il soccombente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 2600,00, di cui euro 2500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile, il 21 novembre 2007.

Il Presidente


Il consigliere estensore


DEPOSITATO IN CANCELLERIA

IL 28 MAGGIO 2008.

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