Se le particoncordano l'assegno di divorzio, il beneficiario perde il diritto alla quota di TFR dell'ex

In tema di divorzio, il sorgere del diritto del coniuge divorziato alla quota dell'indennità di fine rapporto non presuppone la mera debenza in astratto di un assegno di divorzio, e neppure la percezione, in concreto, di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse fra le parti, ma presuppone che l'indennità di fine rapporto sia percepita dopo una sentenza che abbia liquidato un assegno in base all'articolo 5 della legge n. 898 del 1970, ovvero dopo la proposizione del giudizio di divorzio nel quale sia stato successivamente giudizialmente liquidato l'assegno stesso. L'assegno di divorzio, infatti, può anche essere concordato fra le parti, ma esso assume tale natura, con gli effetti giuridici conseguenti, solo attraverso la pronuncia del giudice, a seguito di una domanda di divorzio congiunto ai sensi della legge n. 898, articolo 4, comma 16, ovvero a seguito della formulazione, nel giudizio di divorzio, di conclusioni conformi. (Corte di Cassazione Sezione 1 Civile
Sentenza del 1 agosto 2008, n. 21002)



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente

Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere

Dott. FELICETTI Francesco - rel. Consigliere

Dott. SCHIRO' Stefano - Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

RI. DI. SA. EU., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PIER LUIGI DA PALESTRITA 63, presso l'avvocato CONTALDI MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FONTAINE GIAN FRANCO, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

ZA. CO.;

- intimata -

e sul 2 ricorso n. 31784/05 proposto da:

ZA. CO., elettivamente domiciliata in ROMA VIA BARBERINI 86, presso l'avvocato PALONI MARCO, rappresentata e difesa dall'avvocato MARSALA FANARA GIUSEPPE, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

RI. DI. SA. EU.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 104/05 della Corte d'Appello di BOLOGNA, depositata il 09/08/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/07/2008 dal Consigliere Dott. Francesco FELICETTI;

udito, per il ricorrente, l'Avvocato GIAN FRANCO FONTAINE PANCIATICHI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso, previa riunione, per il rigetto del ricorso principale; l'assorbimento o l'inammissibilita' di quello incidentale; la compensazione delle spese; in subordine, eccezione di legittimita' costituzionale della Legge n. 263 del 2005 articolo 5 con riferimento all'articolo 111 Cost., comma 1.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Ri. Di. Sa.Eu. con ricorso 6 giugno 1994 al tribunale di Palermo chiese che fosse pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto con Za. Co.. Nel contraddittorio fra le parti il tribunale pronuncio' il divorzio con sentenza non definitiva e, successivamente, nel prosieguo del giudizio per la definizione dei rapporti economici fra le parti, intervenne un accordo fra di esse le quali, con verbale di conciliazione del 25 maggio 1999, posero fine al giudizio concordando un assegno di mantenimento in favore della Za. di lire 2.500.000. In seguito, avendo la Za. chiesto al Ri. Di. Sa. la percentuale dell'indennita' di fine rapporto da lui percepita, che asseriva dovutale ai sensi dell'articolo 12 bis, della legge sul divorzio, il Ri. la convenne dinanzi al tribunale di Bologna chiedendo che fosse accertato che nulla le era dovuto a tale titolo, non essendo essa titolare di assegno di divorzio. Il tribunale accolse la domanda del Ri., statuendo che nulla era dovuto alla Za. ex articolo 12 bis, della legge sul divorzio, perche' essa non poteva ritenersi titolare di un assegno divorzio. La Za. propose appello, deducendo che la somma che l'ex coniuga si era impegnato a versarle mensilmente costituiva assegno di divorzio ed il verbale di conciliazione sul punto equivaleva ad una pronuncia giudiziale. Chiese, pertanto, l'attribuzione della quota a lei spettante dell'indennita' percepita dal Ri.. La Corte di appello di Bologna, con sentenza depositata il 9 agosto 2005 e notificata il 21 settembre 2005, riformo' la sentenza di primo grado, accogliendo il gravame, e condanno' il Ri. al pagamento di euro 57.557,88 in favore dell'ex moglie, con gli interessi legali dalla domanda. Il Ri. Di. Sa. ricorre a questa Corte avverso tale sentenza, con ricorso notificato il 10 novembre 2005, formulando quattro motivi. La Za. resiste con controricorso notificato il 14 dicembre 2005, proponendo anche ricorso incidentale condizionato. Il ricorrente ha anche depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi, riguardando la medesima sentenza, vanno riuniti per essere decisi unitariamente ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..

2. Con il primo motivo del ricorso principale si denunciano la violazione degli articoli 5, 9 e 12, bis della legge sul divorzio e vizi motivazionali. Si deduce che secondo la sentenza impugnata sarebbe sufficiente, per l'attribuzione ex articolo 12 bis della legge sul divorzio della quota ivi prevista dell'indennita' di fine rapporto del coniuge divorziato, "il mero possesso astratto e teorico dei requisiti per avere diritto all'assegno di divorzio". Si richiama in proposito la giurisprudenza di questa Corto che, riguardo al diritto a beneficiare della pensione di reversibilita', richiede l'effettivo godimento nel momento della morte dell'ex coniugo, di un assegno divorzile. Si richiama altresi' la sentenza n. 87 del 1995 della Corto costituzionale, secondo la quale la reversibilita' sarebbe prevista solo in caso di assegno attribuito giudizialmente, e non anche nel caso in cui un assegno di mantenimento sia stato stabilito consensualmente, in base ad un atto di autonomia privata. Si deduce che a proposito del diritto alla quota dell'indennita' di fine rapporto a maggior ragione sarebbe necessario il godimento di un assegno divorzile stabilito con sentenza e non il mero possesso dei requisiti per ottenerlo, potendo in tal caso, a differenza che nel primo, l'ex coniuge ottenere tutela delle sue esigenze economiche attraverso la richiesta, in sede di modifica delle condizioni di divorzio, dell'attribuzione dell'assegno.

Con il secondo motivo si denunciano la violazione degli articoli 5, 9 bis e 12 bis, della legge sul divorzio, nonche' degli articoli 156 e 158 c.c., nonche' vizi motivazionali. Si deduce al riguardo che secondo la sentenza impugnata per aversi assegno di divorzio sarebbe sufficiente un accordo fra le parti, mentre invece, secondo il regime della Legge n. 898 del 1990, e successive modificazioni, il divorzio puo' essere pronunciato o in contrasto fra le parti, o con domanda congiunta, ma sempre a seguito di una sentenza, non essendo previsto un divorzio consensuale, ne' la possibilita' delle parti di regolare, al di fuori della sede giudiziale, i loro "rapporti economici e divorzili". A sostegno di tale tesi si cita la sentenza n. 12389 del 2000 di questa Corte.

Con il terzo motivo si denunciano la violazione dei principi in materia di giudicato, nonche' degli articoli 1321, 1322, 1362 c.c. e segg., in relazione alla Legge n. 898 del 1970 articolo 5 nonche' vizi motivazionali. Si deduce che con il regolamento economico intervenuto fra le parti in data 25 maggio 1999, nel momento in cui la Za. rinunciava a contestare ulteriormente dinanzi alla Corte di cassazione, da lei adita con ricorso 6 novembre 1998, la pronuncia di divorzio e rinunciava al giudizio pendente per l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno di divorzio, accettava un assegno che non poteva essere qualificato quale assegno di divorzio, "ma un convenzionale assegno di mantenimento" che "poggiava su un accordo inter partes nell'ambito dell'autonomia contrattuale", ed aveva valore transattivo. Avrebbe errato, pertanto, la Corte di appello nell'equiparare l'assegno consensualmente e transattivamente pattuito a un assegno di divorzio, come emergerebbe anche dal fatto che il divorzio non era ancora divenuto definitivo, pendendo ancora il ricorso per cassazione al riguardo, e le parti avevano chiamato l'assegno "assegno di mantenimento" e non "assegno di divorzio", cosicche' non era consentito al giudice, in base alle norme d'interpretazione dei contratti, modificare la qualificazione data all'assegno dalle parti.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell'articolo 12 bis della legge sul divorzio, in relazione all'articolo 3 Cost., in relazione alle percentuali di attribuzione dell'indennita' di fine rapporto stabilite da tale norma in favore dell'ex coniugo, che irrazionalmente sono state determinate in modo fisso e senza tener conto delle singole situazioni, nonche' senza tenere conto del periodo di convivenza effettiva e della diversita' di retribuzione annuale alla quale l'indennita' di fine rapporto e' rapportata.

3. Con il ricorso incidentale condizionato si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 5, 9 e 12 bis della legge sul divorzio per avere la Corte di appello dichiarato assorbito il motivo con il quale era stato impugnato il rigetto da parte del tribunale della domanda (subordinata) di attribuzione dell'assegno divorzile, per la mancanza di fatti sopravvenuti al divorzio, che rendessero possibile la revisione delle statuizioni contenute nella sentenza che lo aveva pronunciato.

4.1. I primi due motivi del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente proponendosi con essi censure alla sentenza impugnata fra loro collegate. Essi sono fondati nei sensi appresso indicati.

4.2. La Corte di appello ha affermato in fatto che le parti "con verbale di conciliazione in data 25 maggio 1999 posero fine alle cause, pendenti dinanzi al tribunale di Palermo e alla Corte di cassazione, aventi ad oggetto: a) la regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi conseguente alla pronuncia di cessasione degli effetti civili del matrimonio; b) la determinazione dell'assegno di divorzio; c) l'ammissibilita' del ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio in pendenza del giudizio di separazione". Cio' fecero dinanzi al tribunale di Palermo, dinanzi al quale era stata instaurata la causa di divorzio e - dopo la sentenza parziale che aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed era stata impugnata, pendendo dinanzi a questa Corte - era ancora in corso la causa relativa alla determinazione dei rapporti economici fra le parti. Con il verbale di conciliazione "le parti dichiararono di rinunciare ai giudizi in corso, stabilendo l'obbligo di Ri. di. Sa. Eu., di corrispondere in favore di Za. Co. la somma mensile, rivalutabile, di lire 2.500.000".

4.3. Secondo la Corte di merito, "a prescindere dalla qualificazione che le parti nel verbale di conciliazione diedero all'assegno in questione, il regime giuridico dell'obbligo assunto dal Ri. Di. Sa. va collocato nell'ambito del rapporto scaturente dalla modifica, giudizialmente avvenuta con la sentenza di divorzio, dello stato civile delle parti" e va qualificato come "assegno di divorzio". Inoltre, a norma dell'articolo 12 bis l'attribuzione di una quota dell'indennita' di fine rapporto non presupporrebbe l'esistenza di un assegno di divorzio che "discenda da una specifica statuizione del giudice", richiedendo la norma solo la "titolarita' dell'assegno ai sensi dell'articolo 5". Non vi sarebbe ragione, d'altra parte, ed anzi sarebbe in contrasto con l'interesse alla definizione delle liti, affermare che il disposto dell'articolo 12 bis non si applichi nel caso in cui l'assegno sia stata concordato in sede di conciliazione giudiziale.

Tali statuizioni sono errate in diritto per le ragioni che seguono.

5.1. L'articolo 12 bis, aggiunto alla Legge 1 dicembre 1970, n. 898, dalla Legge 6 marzo 1987, n. 74, articolo 16, statuisce che "il coniugo nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale dell'indennita' di fine rapporto percepita dall'altro coniugo all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennita' viene a maturare dopo la sentenza".

La formula usata dal legislatore per attribuire all'interessato il diritto a detta percentuale dell'indennita' di fine rapporto ("in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5") e' analoga a quella usata dal legislatore nel precedente articolo 9, il quale subordina il diritto alla pensione di reversibilita', ovvero a una quota di essa, alla circostanza che il coniuge superstite divorziato "sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5".

Essendo insorti e perdurando contrasti in giurisprudenza circa l'interpretazione da darsi alla su detta formula usata dal legislatore nell'articolo 9, la Legge n. 263 del 2005, articolo 5, li ha risolti con una norma interpretativa disponendo al riguardo che "per titolarita' dell'assegno ai sensi dell'articolo 5 deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi della citata Legge n. 898 del 1970 predetto articolo 5". Detta norma interpretativa e' stata emanata in aderenza a guanto gia' statuito dalle Sezioni unite di questa Corte sin dalla sentenza n. 5939 del 1991 e dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 87 del 1995, con la anale era stata dichiarata non fondata la questione di legittimita' costituzionale della Legge n. 898 del 1970, articolo 9, comma 2, nel testo di cui alla Legge n. 74 del 1987 "nella parte in cui condiziona il diritto alla pensione di reversibilita' alla titolarita' di un assegno attribuito giudizialmente ai sensi dell'articolo 5 e non anche alla titolarita' di un assegno attribuito convenzionalmente. Successivamente la giurisprudenza di questa Corte si e' consolidata nel senso, gia' da tempo ampiamente prevalente, che il diritto del coniugo divorziato alla pensione di reversibilita', o a una quota di essa in ca-so di concorso con il coniuge superstite, presuppone che il richiedente, al momento della morte dell'ex coniugo, sia titolare di un assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto ai sensi dell'articolo 5, della legge predetta, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo, e neppure che in via di fatto, o per effetto di private convenzioni intercorse fra le parti abbia ricevuto regolari elargizioni economiche dall'ex coniugo (Cass. 13 marzo 2006, n. 5422; 24 maggio 2007, n. 12149; 29 settembre 2006, n. 21129).

5.2. La stessa problematica si pone in relazione al diritto alla quota d'indennita' di fine rapporto prevista dall'articolo 12 bis, per avere tale norma usato la stessa formula dell'articolo 9. Ha per analogia con quanto statuito con l'emanazione della sopra menzionata norma interpretativa a proposito dell'articolo 9, deve giungersi al riguardo alle stesse conclusioni alle quali si e' giunti nell'interpretazione di tale articolo. Si deve pertanto ritenere che il sorgere del diritto alla quota dell'indennita' di fine rapporto non presuppone la mera debenza in astratto di un assegno di divorzio, e neppure la percezione, in concreto, di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse fra le parti, ma presuppone che l'indennita' di fine rapporto sia percepita dopo una sentenza che abbia liquidato un assegno Legge n. 980 del 1970, ex articolo 5, ovvero dopo la proposizione del giudizio di divorzio nel quale sia stata successivamente giudizialmente liquidato l'assegno Legge n. 898 del 1970 ex articolo 5, (da ultimo Cass. 10 novembre 2006, n. 24057; 18 dicembre 2003, n. 19427).

Tale conclusione discende innanzitutto dal tenore della norma, uguale a quella interpretata autenticamente dal legislatore, nel senso su detto, con riferimento allo stesso testo legislativo, riguardo ad altro articolo che attribuisce al coniugo divorziato un diritto anch'esso collegato con l'attribuzione dell'assegno previsto dall'articolo 5. Discende par unenti da ragioni d'ordine logico-sistematico, non potendosi dare, nell'ambito dello stesso testo legislativo e senza alcuna ragione, una diversa interpretazione a norme di uguale tenore, considerando anche che, se il legislatore ha dato l'interpretazione piu' rigorosa in un'ipotesi in cui, essendo morto l'ex coniugo, il coniugo divorziato rimane privo non solo della pensione di reversibilita', ma anche della possibilita' di ottenere un assegno di divorzio, ancorche' vengano a sussistere le condizioni di cui alla Legge n. 898, articolo 9, comma 1, non sarebbe ragionevole un'interpretazione meno rigorosa nel caso di specie, in cui permane la possibilita' per l'ex coniugo di richiedere detto assegno, tenuto anche conto dell'eventuale incremento patrimoniale in favore dell'altro a seguito della percezione dell'indennita' di fine rapporto.

5.3. Deve ritenersi pertanto che il legislatore, facendo uso della discrezionalita' che gli competo, in un'ottica di politica legislativa che da limitato rilievo alla volonta' dei coniugi in materia divorzile, per i profili pubblicistici che la permeano pure riguardo agli aspetti economici che vi si riconnettono - comportanti implicazioni anche per i terzi - ha inteso conferire solo a provvedimenti giurisdizionali attitudine ad attribuire un "assegno di divorzio", qualificabile come tale anche per gli effetti che ne conseguono in relazione alla Legge n. 898 del 1970 citati articolo 9, commi 2 e 3, e articolo 12 bis.

L'assegno di divorzio, infatti, puo' anche essere concordato fra le parti, ma esso assume tale natura, con gli effetti giuridici conseguenti, solo attraverso la pronuncia del giudice, a seguito di una domanda di divorzio congiunto ai sensi della Legge n. 898, articolo 4, comma 16, ovvero a seguito della formulazione, nel giudizio di divorzio, di conclusioni conformi.

Come e' stato gia' evidenziato da questa Corte con la sentenza 19 settembre 2000, n. 12389, in entrambi i casi, una volta trasfuse le pattuizioni delle parti nelle conclusioni sottoposte all'organo della giurisdizione, esse perdono ogni connotazione negoziale, avvenendo l'attribuzione dell'assegno, a seguito di una sia pur limitata valutazione del giudice, attraverso lo strumento giuridico della sentenza, costituendo le conclusioni congiunte un mero presupposto di questa, diverso essendo il regime giuridico dettato in tema di divorzio rispetto a quanto previsto in tema di separazione consensuale, in relazione alla quale le norme dell'articolo 158 c.c., e dell'articolo 711 c.p.c., prevedono l'omologazione come condizione d'efficacia delle pattuizioni intervenute fra le parti, le quali conservano la loro autonomia giuridica.

Ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, "assegno di divorzio", in senso tecnico-giuridico, nel sistema della Legge n. 898, tenuto conto della norma interpretativa di cui alla citata Legge n. 263 del 2005 puo' ritenersi solo quello liquidato dal giudice nel giudizio di divorzio, nei modi previsti dall'articolo 5, ovvero liquidato dal giudice ove si verifichino successivamente le condizioni per la sua attribuzione ai sensi dell'articolo 9, al quale soltanto conseguono i diritti di cui all'articolo 9, commi 2 e 3, nonche' Legge n. 898 del 1970 articolo 12 bis. Viceversa, regime giuridico - ed effetti diversi - ha ogni altro assegno pattuito, in qualunque sede, fra le parti e non attribuito con provvedimento del giudice ai sensi dell'articolo 5, o dell'articolo 9, su detti, il quale e' sottoposto, secondo le regole generali dei negozi fra privati, al regime giuridico di questi. Ferino restando che, stante l'inderogabilita' della disciplina prevista dall'articolo 9, comma 1, sottesa alla garanzia d'interessi di carattere pubblicistico, ove successivamente al divorzio si verifichino le condizioni previste per l'attribuzione giudiziale di un assegno ai sensi dell'articolo 5. Questo potra' essere richiesto in ogni tempo dalla parte interessata.

5.4. Quanto alla questione di legittimita' costituzionale della Legge n. 263 del 2005 articolo 5 sollevata dal Procuratore Generale nella discussione orale, in riferimento all'articolo 111 Cost., - sotto il profilo che la mancata equiparazione degli assegni stabiliti negozialmente dai coniugi in verbali di conciliazione davanti al giudice all'assegno di divorzio stabilito con provvedimento del giudice provocherebbe un allungamento dei tempi del processo, ostacolandone la piu' sollecita definizione - essa appare manifestamente infondata, tenuto conto che l'ordinamento contiene, come gia' si e' visto, strumenti alternativi idonei ad una sollecita definizione dei giudizi di divorzio, sia prevedendo specificamente la domanda congiunta, sia attraverso la possibilita', di ordine generale, di proporre nel corso del giudizio conclusioni concordate, cosi' da ottenere in tempi brevi la sentenza.

7. Ne deriva, per le ragioni esposte, l'accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale nei sensi sopra indicati, con assorbimento del terzo e del quarto e conseguente irrilevanza della questione di legittimita' costituzionale con guest'ultimo prospettata.

8. Quanto al ricorso incidentale condizionato, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 5, 9 e 12 bis, della legge sul divorzio - per avere la Corte di appello ritenuto assorbito il motivo con il quale era stato impugnato 11 rigetto da parte del tribunale della domanda (subordinata) di attribuzione di un assegno divorzile - esso e' inammissibile per mancanza d'interesse al ricorso per cassazione sul punto, non essendovi stata soccombenza al riguardo nel giudizio di appello e potendo pertanto, secondo i principi generali, il motivo assorbito essere riproposto nel giudizio di rinvio (Cass. SS.UU. 8 ottobre 2002, n. 14382), nel corso del quale ben potra' essere accertato se, allo, stato, sussistano le condizioni per l'attribuzione alla Za. di un assegno ai sensi della Legge n. 898 del 1970 articolo 5.

6. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, che decidera' anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE

Riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale nei sensi di cui in motivazione e cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte. Dichiara inammissibile, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso incidentale. Rinvia la causa alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, che decidera' anche sulle spese del giudizio di cassazione.

INDICE
DELLA GUIDA IN Divorzio

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 2553 UTENTI